10. Marinetti parolibero, visivo, sonoro (Parte seconda)
Immagine della puntata: Umberto Boccioni, “La città che sale“, 1910
Il romanzo dal titolo Gli Indomabili, che Marinetti scrive nel 1922, offre un esempio di paroliberismo molto diverso da quello manifestato qualche anno prima, in Zang Tumb Tumb. Questo romanzo entra infatti in una relazione complessa con l’estetica delle “parole in libertá” proprio perché si trova costretto a negoziare con le forme del romanzo tradizionale; “Gli Indomabili rappresentano la vetta suprema di Marinetti prosatore ‘tradizionale’: da consumato allegorista, egli dispiega in quest’opera il virtuosismo di uno stile maturo, non per nulla passato attraverso le più varie esperienze, uno stile a più registri, ora diretto, immediato, ora letterario e prezioso; ora intinto di sprezzature brutali, ora soffuso di musicali delicatezze” (De Maria, 86).
Rendere nell’arte la ‘mistica della materia’, annunciata da Marinetti nei vari manifesti come fine estetico supremo del futurismo, si traduce in quest’opera nella massima aspirazione all’ibridazione fra l’umano, l’animale e la macchina. Questa direzione della ‘modernolatria’ futurista era stata da Marinetti già lanciata nel Manifesto tecnico della letteratura futurista, nel 1912: “Poeti futuristi! Mediante l’intuizione, vinceremo l’ostilità apparentemente irriducibile che separa la nostra carne umana dal metallo dei motori. Dopo il regno animale, ecco iniziarsi al regno meccanico. Con la conoscenza e l’amicizia della materia, della quale gli scienziati non possono conoscere che le reazioni fisico-chimiche, noi prepariamo la creazione dell’uomo meccanico dalle parti cambiabili. Noi lo libereremo dall’idea di morte, e quindi dalla morte stessa” (Marinetti, 1912, 54). L’uomo meccanico non può morire, perde la sua umanità nell’istante stesso in cui si disumanizza in una immortalità conferitagli dall’incorporazione nella macchina. In questa idea mitica della macchina, l’uomo che guadagna l’immortalità acquista uno statuto divino e ferino, vicino cioé al Dio e alla bestia. Da Ecce homo quale è, l’uomo meccanico-animalesco dichiara guerra al Dio degli uomini avvolti ancora nel loro sepolcro di carne. L’estetica marinettiana della macchina si configura pertanto, simultaneamente, in uno slancio di teofagia e di teomachia insieme, cioè simultaneamente di divorazione del divino e di guerra contro di esso. Essa è animata dalla nietzschana “morte di dio” che prende la forma di una sfida contro Dio e di una assunzione della potenza divina in forza della vittoria sull’idea di morte. Ma alla morte di Dio non può che conseguire la morte dell’uomo e pertanto del soggetto umano narrato e narrante. Questo romanzo di Marinetti fornisce una peculiare mitologia della macchina, mette in scena un epico ed infernale ingranaggio di violenza e si aggancia, in un assemblaggio mostruoso, con il sogno futurista della fusione bestiale fra uomo, animale e macchina. Si tratta di un romanzo fantascientifico, di una “favola profetica religiosa e sociale”, come la definiva l’artista futurista Benedetta Cappa, anche moglie di Marinetti.
L’autore illustra un universo narrativo in cui differenti figure di umani-macchina e di umani-animale ingaggiano una violenta battaglia. La trama si sviluppa in luoghi differenti (la Fossa, la Duna, l’Oasi, il Fiume, la Città) e ad ognuno di questi siti corrisponde una differente tipologia di ibridazione: i Cartacei, i Fluviali, gli Indomabili e i Carcerieri con le rispettive diverse strutture sociali di appartenenza. I mondi paralleli sono legati fra loro da rapporti di potere e mostrano, nel loro funzionamento, la co-implicazione fra dinamismo, violenza, velocità meccanica e epica della guerra. Il potere dello stile letterario di Marinetti assomiglia a quello di una “macchina da guerra”. Marinetti dichiara qui guerra al romanzo ottocentesco attraverso una “macchina letteraria” in cui la guerra diventa il modello estetico e dinamico dello sviluppo e dello stile narrativo. Inoltre, la potenzialità del paroliberismo si mostra qui attraverso un meccanismo letterario il cui dispositivo tecnico è quello dell’assemblaggio di analogie figurali violente, nel ritmo e nella tonalità, in una contaminazione sincretistica fra diversi generi letterari. Il paroliberismo non è qui semplicemente uno stile o una mescolanza di stili, ma un dispositivo ritmico che riproduce, come in uno specchio, il carnage della violenza che strazia il mondo del XX secolo: “Come definire Gli Indomabili? É un libro parolibero. Nudo, crudo, sintetico. Simultaneo, policromo, polirumorista. Vasto, violento, dinamico. Le parole in libertà orchestrano i colori, i rumori e i suoni, combinando i materiali delle lingue e dei dialetti, le formole aritmetiche e geometriche, i segni musicali, le parole vecchie, deformate o nuove, i gridi degli animali, delle belve e dei motori” (Marinetti, 1922, 921-922). Quando Marinetti descrive, ad esempio, la “citta dei Cartacei”, il dispositivo ritmico futurista diventa evidente proprio nell’accelerazione con cui parole e immagini si susseguono e nella rete di analogie che riproducono molteplici combinazioni e ibridazioni fra umano, macchina e animale: “Pozzi di evaporazione spaccati foruncoli di vulcani. Vampe di altiforni. Colpi di magli. Girandole di scintille. Gabbie di ferro che imprigionano fiamme scimmiesche dal culo rosso-viola. Voluttuosissimi massi di metallo incandescente. Colare, rimescolarsi, correre, piroettare, su e giù. Verticalmente, orizzontalmente. Come un pendolo. Alternativamente come una montagna, come un topo, come una tartaruga, come una piuma” (Marinetti, 1922, 986). La città stessa dei Cartacei è un “grande ingranaggio” che funziona grazie a creature umane ibridate con ruote meccaniche: “Su quelle fantastiche ruote perpendicolari, la vôlta si slanciava con impeto lirico per formare un’ogiva appassionata che saliva saliva perdendosi nel buio. Inoltrandosi sempre più nell’atmosfera qua e là torturata di luci e tutta intrecciatissima di fumi, gli Indomabili compresero che quelle ruote giranti si ingranavano una all’altra, velocissime. Intorno ad ogni ruota, formicolava il travaglio minuzioso di una complicata orologeria di piccole ruote ognuna delle quali aveva l’altezza di un uomo e portava sospeso alla sua manovella uno straccio convulso e nero. Gli Indomabili si fermarono muti, colpiti da stupore. Quegli stracci sembravano affannosi. Erano eseri viventi. Molli, come disossati, trascinati dalla ruota stessa, mentre in realtà partiva da loro la forza rotante. A quando a quando, uno di quegli uomini flosci e serpentini rallentava il suo moto convulso. Lo si sentiva ansimare e gemere di fatica, mentre le ruote intorno, tutte ingranate, rallentavano i loro giri, e la gigantesca ruota perpendicolare, diminuendo anch’essa la sua velocità, rivelava il suo orlo dentato di luminose seghe d’argento. Subito un sibilo trapanava l’atmosfera caldissima – Con forza! Al lavoro! Velocità! Velocità! Guai a chi si ferma! Lavoro o morte! Velocità o morte!” (Marinetti, 1922, 988). La lunga serie onomatopeica di “r” è l’espressione che restituisce al lettore l’effetto sonoro del rumore dell’ingranaggio. A questo proposito il Manifesto tecnico del 1912 non lascia adito a fraintendimenti: “Sorprendere, attraverso gli oggetti in libertà e i motori capricciosi la respirazione, la sensibilità, e gli istinti dei metalli, delle pietre, del legno. Sostituire la psicologia dell’uomo, ormai esaurita, con l’ossessione lirica della materia. La materia appartiene al poeta divinatore che saprà liberarsi della sintassi tradizionale. Solo il poeta asintattico e dalle parole slegate potrà penetrare l’essenza della materia. Le parole liberate dalla punteggiatura irradieranno le une sulle altre, incroceranno i loro diversi magnetismi, secondo il dinamismo interrotto del pensiero. Uno spazio bianco, più o meno lungo indicherà al lettore i riposi o i sonni più o meno lunghi dell’intuizione. La distruzione del periodo tradizionale permetterà al poeta futurista di utilizzare tutte le onomatopee, anche le più cacofoniche, che riproducono gli innumerevoli rumori della materia in movimento” (Marinetti, 1912, 46-54).
Inserendo nella letteratura l’elemento del rumore – sonoro o silente che sia – Marinetti conferma il desiderio bruciante del Futurismo italiano di aprire una nuova idea di uomo contemporaneo: un uomo leggerissimo, velocissimo, elettrico, bestiale, meccanico, non umano. Questo al fine di volare verso un completo rinnovamento della sensibilità umana: l’uomo davvero al passo con le scoperte tecnologiche e con la violenza della Prima Guerra Mondiale, in una parola l’uomo nuovo del XX secolo, è colui che fa del mito della velocità un mantra e della mistica della macchina un culto. La nuova conquista che la letteratura marinettiana auspica è la fusione fra istinto animale e performance meccanica. Precisamente nella distruzione della sintassi, incorporata nello stile marinettiano del paroliberismo, affiora quindi la manifestazione del nuovo senso dell’era contemporanea, del “nuovo moderno della modernità” di cui parla il critico Renato Poggioli. Si tratta del ritmo della vita in tempo di guerra, l’apocalisse della violenza che brucia tutto, la crisi e la frenesia, la convulsione esistenziale e sociale che il Futurismo esalta, partecipando al dinamismo forsennato della sua danza macabra, applaudendola e salutandola nella fiammata di un baccanale letterario sanguinario.
Inoltre è necessario ricordare che “Gli Indomabili sono un’opera fondamentale dell’itinerario artistico di Marinetti: in essa si esprime uno stadio della sua più profonda Weltanschauung” (De Maria, 90), ovvero della sua visione del mondo. In una lettera aperta che Marinetti scrive a Silvio Benco, si legge infatti: “Preciso ora il significato filosofico-simbolico degli Indomabili… Solo la ferocia, la crudeltá, ieri domate oggi coscienti volitive possono guidare l’avvenire. Ma le forze domate un istante si sguinzagliano di nuovo anarchiche, individualistiche, feroci. Ridiventano istinti incoscienti e brutali, criminali che bisogna incatenare. E tutto ritornerebbe alle origini. Ma nell’Umanitá vi è la continuitá della coscienza. Sorge cosí dal libro la sintesi dell’uomo-individuo nel suo sforzo verso la pienezza emotiva che trabocca nella vita cerebrale. La quale talvolta diviene tiranna e sfrutta le forze materiali che già ha cercato di superare. E sorge la sintesi dell’individuo società nel suo sforzo di progresso. Sforzo verso una fratellanza quasi raggiunta, illuminata dalle idee, ma arrestata dall’arsura delle idee stesse che infiammano di nuovo gli elementi densi e opachi. E sorge la sintesi dell’Umanità. Umanitá dolorante nel mistero angoscioso, con tutte le seti mai soddisfatte, tutte le arsure sempre inasprite. Umanità assetata di una verità che abbracci, che dilaghi e accarezzi. Unica verità, unica forza: la Bontà. Bontà assoluta senza relativi, senza spasimi. Bontà dell’anima che si ritrova nell’altra anima e si appaga del ritrovo senza possesso. Ma la bontà non basta alla vitalità umana. L’umanità è dinamica, costruttiva. Nella costruzione crede, vuole la creazione che è il suo avvenire” (Marinetti, 1924, 29-31). In questo discorso così denso, diviso in tre momenti di dispiegamento dello spirito umano, dall’evoluzione quasi hegeliana, “si delinea una vera e propria dialettica della civiltà… Prossimo a riconoscere la verità dell’umanità nell’utopia di un’esistenza pacificata, Marinetti se ne distacca violentemente per paura di ledere l’essenza stessa dell’uomo” (De Maria 87-88). Il futurismo non può dimenticare la sua vocazione polemologica. È il polemos, il dimanismo della guerra, dell’insurrezione, della rivolta a restare, per i futuristi, al centro di ogni vera creazione. Pertanto l’essenza umana stessa, così come la sua destinazione, può essere creativa solo nella dinamicitá di una costruzione radicale che include in sé il suo presupposto distruttivo. L’umanitá è violenta e dinamica, o non é.
Bibliografia
DE MARIA, L., 1968, Introduzione a F.T. Marinetti, in Teoria e Invenzione futurista, Mondadori.
HOWLETT, J., MENGHAM, R., 1994, The violent muse. Violence and the artistic imagination in Europe 1910-1939, Manchester University Press.
MARINETTI, F.T.,1912, Manifesto tecnico della letteratura futurista, in Teoria e Invenzione futurista, Mondadori (1968).
MARINETTI, F.T., 1922, Gli Indomabili, in Teoria e Invenzione futurista, Mondadori (1968).
POGGIOLI, R., 1962, Teoria dell’arte d’avanguardia, Biblioteca d’Orfeo; Eng. 1961, The Theory of the Avant-Garde, Harvard University Press.
SANZIN, G., Marinetti e il futurismo, Editore Sanzin, 1924.
SITI, W., 1975, Il realismo dell’avanguardia, Einaudi.
11. Palazzeschi. L’etica del fuoco e l’uomo in fumo
Immagine della puntata: Gerardo Dottori, “Incendio città“, 1926
Aldo Palazzeschi è uno dei più originali scrittori futuristi. Il Codice di Perelà (1911) è forse il suo romanzo più famoso e in ogni caso l’opera prediletta dall’autore, che la definiva “la mia favola aerea, il punto più elevato della mia fantasia”. La figura protagonista del romanzo, Perelà, è un uomo fatto interamente di fumo. È nato dall’ “utero nero” di un camino in cui è vissuto per trentatré anni, si è formato ed è stato nutrito dalle sue tre anziane madri: Pena, Rete e Lama. Le tre vecchie centenarie, incontrandosi ogni giorno di fronte al camino, parlavano fra loro alimentando la fiamma, da cui usciva un fumo che avrebbe “riempito” il contorno di Perelà, e avrebbe infine preso sembianze umane. Il nome “Perelà” è composto dalle prime tre sillabe dei nomi del trittico materno (Pe-Re-Là). La consistenza fumosa dell’uomo nato dal fuoco fa di lui un personaggio che resta presente solo nell’ineffabilità e fuggevolezza inconsistente del fumo.
A Torlindao, la città immaginaria in cui Perelà si trova ad arrivare, una volta sceso giù dal camino in un filo di fumo, egli trova una società strutturata gerarchicamente alla maniera di quelle europee del 1700 e gestita da una monarchia assoluta. In un primo momento l’uomo di fumo viene ammirato per la sua eccezionalità – la sua leggerezza fisica è metafora dell’innocenza amorale di colui che non appartiene al mondo degli uomini – al punto che il Re della città gli chiede di redigere un codice di legge, la cui mancanza affligge lo Stato da tempo e che solo un Ecce homo come Perelà, che è al di sopra della legge degli uomini e dei loro interessi particolari, può inventare. Ma il codice non verrà completato perché Perelà viene accusato della morte di Alloro, il maggiordomo del Re, che si era suicidato dandosi fuoco nella speranza di tramutarsi anch’egli in un uomo di fumo. Dichiarato dunque pericolosissimo e destabilizzante per il regno, Perelà viene arrestato, processato e condannato a essere imprigionato in un camino buio, da cui alla fine del romanzo fuggirà, tramutandosi in una nuvola.
L’eroe del romanzo di Palazzeschi è chiaramente identificabile come un anti-eroe, una trasposizione fiabesca e nietzscheana della storia di Cristo: “La storia di Cristo, nella incarnazione palazzeschiana, è interamente secolarizzata: siamo in un mondo in cui, secondo il motto di Nietzsche, Dio è morto. Perelà non è il figlio di Dio né dell’uomo; è il “figliolo della fiamma”, è l’uomo nuovo purificato. Il suo bizzarro messianismo è del tutto inconsapevole e involontario: egli non vuole nulla dagli uomini, non cerca discepoli, non predica” (De Maria, IX-X). L’eroe di fumo è un anti-eroe che risponde con brevissime battute alle mille domande incuriosite delle persone che incontra; si tratta di un soggetto davvero ‘narrato’, perché non può neppure parlare di sé stesso, tanto evanescente è la sua soggettività, ma che può solo, in diverse occasioni, dichiararsi leggerissimo “Io sono leggero…un uomo leggero… tanto leggero” (Palazzeschi, 5). La condizione di semi-assenza, di presenza volatile del personaggio Perelà è rispecchiata da quella del soggetto narrante che è, nel romanzo, completamente assente. L’assenza del soggetto narrante fa di quest’opera un autentico anti-romanzo futurista, che altera le convenzioni narrative del romanzo realista ottocentesco. Con gesto stilistico spregiudicato, infatti, la tecnica letteraria del Codice di Perelà ha tutta la provocatorietà che contraddistingue il romanzo futurista. Palazzeschi costruisce una trama reticolare di dialoghi fra l’uomo di fumo e diversi interlocutori che egli incontra a Torlindao, ma si tratta di una trama senza bordi né “racconti cornice” di matrice ottocentesca; inoltre, è solo a partire dai dialoghi che Perelà intreccia con le persone che lui incontra sul suo cammino, che il lettore può comprendere la storia dell’uomo di fumo. La tendenza stilistica è anti-aulica, come per molte opere futuriste, e nel testo ci sono fitte battute e frequenti cantilene infantili che, con forte ironia, Palazzeschi usa quali espedienti tecnici di una letteratura che fa della matrice fonica e onomatopeica uno dei suoi strumenti espressivi più potenti. La cantilena infantile diventa la metafora del fumismo (Poggioli 164) di Palazzeschi per descrivere la differenza profonda fra lo stupore infantile, candido e ingenuo di Perelà, e l’ipocrisia dei potenti. In un’opera quasi completamente priva di azione, il soggetto narrante tradizionale scompare lasciando posto ad un coro di voci che commentano gli avvenimenti: la destrutturazione del canone narrativo del romanzo ottocentesco è qui completamente attuata nella contaminazione stilistico-formale fra dialogo e romanzo corale in cui il soggetto narrante va letteralmente “in fumo”, proprio come l’anti-eroe protagonista impalpabile della storia. La modalità narrativa del romanzo realista ottocentesco poteva confidare sulla presenza di un soggetto narrante, di un narratore, esterno e “attendibile”, spesso “onniscente”, ovvero che conosce dal principio alla fine la storia che sta raccontando e in cui non è direttamente coinvolto, che edifica il corpo letterario come un sistema chiuso in cui può adottare il punto di vista di uno o più personaggi, e può intervenire liberamente per commentare gli eventi, i comportamenti e le azioni dei protagonisti in base al proprio sistema di riferimento culturale e ai propri valori morali. Il romanzo futurista ripensa invece la narratività a partire da una radicale rottura con il modello precedente.
Nel Codice di Perelà non è più possibile trovare il narratore, inoltre il tempo del racconto perde la sua linearità e la sua scansione ordinata cronologicamente. Ma è soprattutto il modo del racconto, le tecniche stilistiche e la figuralità estetica che distinguono profondamente le produzioni artistiche dell’avanguardia da quelle del romanzo realista tradizionale. Il Codice di Perelà incorpora, nell’assenza del soggetto narrante e nell’impalpabilità di quello narrato, nella diffrazione del tempo narrativo e nel sincretismo dello stile (una contaminazione fra dialogo e romanzo corale), alcune delle caratteristiche fondamentali dell’esperienza della creazione futurista e del suo registro espressivo. Perelà, l’anti-eroe dell’anti-romanzo di Palazzeschi, è anche la figura metaforica dell’uomo libero dai condizionamenti sociali, e traduce fedelmente l’anelito di libertà di matrice nietzscheana col quale il futurismo italiano aveva apertamente dichiarato guerra alla cultura borghese dell’ottocento e al tradizionalismo delle sue forme narrative. L’irrisione dei valori codificati della società borghese riceve la sua raffigurazione nella leggerezza di Perelà come anticonformista radicale; inoltre, nell’immagine del fuoco purificatore che genera l’uomo di fumo, nell’appello “alla ragione dei pazzi” che si oppone alla razionalità dei “benpensanti” (si veda il dialogo fra Perelà e il pazzo volontario Zarlino), e soprattutto nella forte tendenza che l’uomo di fumo ha al restare in silenzio, c’è il segreto che avvicina la leggerezza di Perelà a quella di un “nuovo Zarathustra” che abbraccia il messaggio di libertà contro l’ordine precostituito; “il silenzio dell’uomo di fumo simbolizza una condizione altra, ricca di risonanze rivoluzionarie, almeno nel campo dell’avanguardia” (Pieri).
Filippo Tommaso Marinetti, nel suo testo Democrazia futurista, scrive: “Gli anarchici si accontentano di assalire i rami politici, giuridici ed economici dell’albero sociale, mentre noi vogliamo assai di più…Di quest’albero, infatti noi vogliamo strappare e abbruciare le più profonde radici: quelle piantate nel cervello dell’uomo e che si chiamano: desiderio del minimo sforzo, quietismo vile, amore dell’antico e del vecchio, di ciò che è corrotto e ammalato, orrore del nuovo, disprezzo della gioventù, venerazione del tempo, degli anni accumulati, dei morti e dei moribondi, bisogno istintivo di leggi, di catene e di ostacoli, paura di una libertà totale” (Marinetti 416-417). Il culto della libertà totale è qui ingaggiato da Marinetti come guerra incendiaria anti-passatista e anti-tradizionale. Senza dubbio la figura di Perelà, inventata nel romanzo di Palazzeschi, entra a far parte del pantheon degli anti-eroi futuristi, per il suo l’antagonismo contro la società borghese, che esso calibra in termini di neutralità morale e inconsistenza effimera del soggetto-fumo. “Infine io ho pienamente ragione, i tempi sono molto cambiati, gli uomini non domandano più nulla dai poeti, e lasciatemi divertire!” – scrive Palazzeschi in un altro suo lavoro dal titolo L’incendiario, pubblicato solo un anno prima di Il Codice di Perelà. L’ironia di Palazzeschi e il senso anche burlesco della sfida lanciata ai suoi contemporanei nascondono “un umorismo plumbeo, consono al colore del protagonista” (Palazzeschi, 1911), un umorismo grigio fumo, perché ossessionato dalla consapevolezza di quanto, nel pathos storico del primo novecento, l’atto creativo abbia luogo in uno stato di crisi.
In questo contesto di crisi epocale, dunque, Il Codice di Perelà assume una portata fondamentale: nell’aver inventato l’uomo di fumo, la cui storia “si racconta da sola” come per un automatismo, in assenza di un narratore riconoscibile e attraverso i dialoghi e il romanzo corale, questo romanzo ha dato voce alla decostruzione del soggetto tradizionale del romanzo ottocentesco. Nel personaggio di Perelà, Palazzeschi propone una versione “fumista, burlesca, ballettista” del senso iconoclasta e anti-passatista dell’avanguardia come ideale apocalittico. L’anti-eroe palazzeschiano è infatti la dimostrazione dell’epilogo ideologico e letterario della coscienza tragico-borghese: nella figura di Perelà, nessuno scontro fra Io e mondo, il mondo gli è estraneo; “Enunciare l’ideale della leggerezza come identità del soggetto afferma l’unità del soggetto dal punto di vista della sua negazione ideologica e culturale. Ideologicamente, allora, Perelà è quel che appare: una specularità del cogito, cioè la morte del soggetto. Inerte e socialmente estraneo, il suo antiromantico e parodico “voyage” è senza cogito” (Pieri). La leggerezza è allora agli antipodi dell’autocoscienza, è l’altro dell’identità: il fumo del soggetto senza cogito significa che il soggetto metafisico e cartesiano è andato in fumo, quello narrato così come quello narrante: “la cifra del soggetto, in Perelà, è il ‘grado zero’ partecipe del suo azzeramento. La coscienza del tempo soggiace all’atopia e all’atipia del soggetto” (Pieri). La particolare modalità che il “figliolo della fiamma” ha scelto per essere presente nella effimera materia del fumo, rivela quanto Palazzeschi abbia eliminato completamente dalla prosa il mondo psicologico e culturale del cogito: “perché di fumo, Perelà resta la negazione di ogni ‘volontà di potenza’ individualmente affermata. Dell’uomo superiore semmai ha la noluntas. Quindi, il fumo di Perelà ha la funzione di ‘velo di Maya’ dietro il quale si nasconde e si manifesta il ‘noumeno’ del fuoco, e cioè la prima figura eversiva della tematica palazzeschiana e, per esteso, la prima figura apocalittica dell’avanguardia europea, da Nietzsche all’espressionismo e al futurismo. L’equivalenza nel romanzo di fumo e fuoco, gli espliciti o impliciti richiami al potere trasgressivo dell’incendio e nello stesso tempo all’ideale della ‘leggerezza’, costituiscono la compresenza di due primarie verità del nichilismo moderno: l’atopia e l’utopia, quel che Nietzsche volle chiamare nella sua incompiuta Volontà di potenza come il nichilismo attivo e il nichilismo passivo” (Pieri). L’uomo di fumo creato dall’immaginazione di Palazzeschi è una delle figure futuriste per eccellenza – la materia ha in esso preso forma umana senza perdere la sua consistenza e la sua logica interne, trasferendo piuttosto all’umano le caratteristiche della materia stessa, che in questo modo dissolvono il soggetto umano e lo liberano dal peso della sua umanità ingombrante, “parassita” e “passatista”. Il frutto futurista dell’etica liberatoria del fuoco è, con Palazzeschi, quello di un uomo nuovo, leggerissimo e ultra-umano, l’uomo di fumo.
Bibliografia
DE MARIA, L., 1974, Introduzione a Il Codice di Perelà, Mondadori.
MARINETTI, F.T., 1919, Democrazia futurista, in Teoria e Invenzione futurista, Mondadori (1968).
PALAZZESCHI, A., 1910, L’incendiario.
PALAZZESCHI, A., 1911, Il Codice di Perelà.
PIERI, P., Il codice di Perelà di Palazzeschi. L’altro del fumo, l’oltre dell’uomo.
POGGIOLI, R., 1962, Teoria dell’arte d’avanguardia, Biblioteca d’Orfeo; Eng. 1961, The Theory of the Avant-Garde, Harvard University Press.
SITI, W., 1975, Il realismo dell’avanguardia, Einaudi.
12. Futurballa. La forma della velocità (Prima Parte)
Immagine della puntata: Giacomo Bella, “Volo di rondini“, 1913
Futurballa è il nome d’arte dietro cui si cela una delle personalità più eclettiche e poliedriche del Futurismo: Giacomo Balla. Pittore, scultore, scenografo e autore di testi che seguono l’estetica del “paroliberismo” inaugurata da Marinetti, Balla è esponente di spicco dell’avanguardia italiana. Insieme ad altri futuristi italiani, firma i manifesti che sanciscono gli aspetti teorici ed estetici del movimento futurista, anche esasperandone i contenuti. Negli anni della prima guerra mondiale, Balla persegue l’idea di un’arte totale, definita arte-azione futurista, la cui massima aspirazione è quella di lasciare che lo smodato e caleidoscopico vento dell’estetica futurista invada tutti i campi dell’arte fino a interessare anche quelli dell’artigianato d’autore, come ad esempio la moda.
Nel 1914 infatti, egli firma a Parigi il manifesto futurista Le vêtement masculin futuriste (Il vestito maschile futurista) a cui segue qualche mese dopo l’edizione italiana intitolata Il vestito antineutrale. Si tratta di un testo che teorizza le linee fondamentali della moda maschile futurista ed è corredato da figurini e modelli che dimostrano graficamente l’idea di Balla per una nuova estetica nel campo dell’abbigliamento. Il vestito di Balla è anti-neutrale perché concepito in piena critica contro il soffocante, cupo, vecchio e “passatista” modo di vestire maschile. Balla propone un modello più dinamico, audace e variopinto, che si adegui al concetto futurista di modernità e progresso: “Alla base dell’ideologia futurista vi è un nuovo sistema di vita che avversa fortemente il passato in tutte le sue espressioni, e inneggia al dinamismo, alla velocità, all’accensione dei colori, all’irregolarità e all’asimmetrico” (Di Fazio, pp. 18-19). L’abito proposto da Balla è quinti un abito progressista, quasi “automatico”, al tempo stesso festoso e bellicoso, che strizza l’occhio all’etica della guerra, alla poetica dell’automatismo e all’estetica del carnevale:
“L’umanità si vestì sempre di quiete, di paura, di cautela o d’indecisione, portò sempre il lutto, o il pivale, o il mantello. Il corpo dell’uomo di sempre diminuito da sfumature e da tinte neutre, avvilito dal nero, soffocato da cinture, imprigionato da panneggiamenti. Fino ad oggi gli uomini usarono abiti di colore e forme statiche, cioè drappeggiati, solenni gravi, incomodi e sacerdotali. Erano espressioni di timidezza, di malinconia e di schiavitù, negazione della vita muscolare, che soffocava in un passatismo anti-igienico di stoffe troppo pesanti e di mezze tinte tediose, effeminate o decadenti. Tonalità e ritmi di pace desolante, funeraria e deprimente. Oggi vogliamo abolire: 1. – Tutte le tinte neutre, “carine”, sbiadite, fantasia, semioscure e umilianti. 2. – Tutte le tinte e le fogge pedanti, professorali e teutoniche. I disegni a righe, a quadretti, a puntini diplomatici. 3. – I vestiti del lutto, nemmeno adatti per i becchini. Le morti eroiche non devono essere compiante, ma ricordate con vestiti rossi. 4. – L’equilibrio mediocrista, il cosiddetto buon gusto e la cosiddetta armonia di tinte e di forme, che frenano gli entusiasmi e rallentano il passo. 5. – La simmetria nel taglio, le linee statiche, che stancano, deprimono, contristano, legano i muscoli; l’uniformità di goffi risvolti e tutte le cincischiature. I bottoni inutili. I colletti e i polsini inamidati. Noi futuristi vogliamo liberare la nostra razza da ogni neutralità, dall’indecisione, paurosa e quietista, dal pessimismo negatore e dall’inerzia nostalgica, romantica e rammollente. Noi vogliamo colorare l’Italia di audacia e di rischio futurista, dare finalmente agl’italiani degli abiti bellicosi e giocondi. Gli abiti futuristi saranno dunque: 1. – Aggressivi, tali da moltiplicare il coraggio dei forti e da sconvolgere la sensibilità dei vili. 2. – Agilizzanti, cioè tali da aumentare la flessibilità del corpo e da favorirne lo slancio nella lotta, nel passo di corsa o di carica. 3. – Dinamici, pei disegni e i colori dinamici delle stoffe, (triangoli, coni, spirali, elissi, circoli) che ispirino l’amore del pericolo, della velocità e dell’assalto, l’odio della pace e dell’immobilità. 4. – Semplici e comodi, cioè facili a mettersi e a togliersi, che ben si prestino per puntare il fucile, guardare i fiumi e lanciarsi a nuoto. 5. – Igienici, cioè tagliati in modo che ogni punto della pelle possa respirare nelle lunghe marcie e nelle salite faticose. 6. – Gioiosi. Stoffe di colori e iridescenze entusiasmanti. Impiegare i colori muscolari, violentissimi, rossissimi, turchinissimi, verdissimi, gialloni, aranciooooni, vermiglioni. 7. – Illuminanti. Stoffe fosforescenti, che possono accendere la temerità in un’assemblea di paurosi, spandere luce intorno quando piove, e correggere il grigiore del crepuscolo nelle vie e nei nervi.8. – Volitivi. Disegni e colori violenti, imperiosi e impetuosi come comandi sul campo di battaglia. 9. – Asimmetrici. Per esempio, l’estremità delle maniche e il davanti della giacca saranno a destra rotondi, a sinistra quadrati. Geniali contro attacchi di linee. 10. – Di breve durata, per rinnovare incessantemente il godimento e l’animazione irruente del corpo. 11. Variabili, per mezzo dei modificanti (applicazioni di stoffa, di ampiezza, spessori, disegni e colori diversi) da disporre quando si voglia, su qualsiasi punto del vestito, mediante bottoni pneumatici. Ognuno può così inventare ad ogni momento un nuovo vestito. Il modificante sarà prepotente, urtante, stonante, decisivo, guerresco, ecc. Il cappello futurista sarà asimmetrico e di colori aggressivi e festosi. Le scarpe futuriste saranno dinamiche, diverse l’una dall’altra, per forma e per colore, atte a prendere allegramente a calci tutti i neutralisti. Sarà brutalmente esclusa la unione del giallo col nero. Si pensa e si agisce come si veste. Poiché la neutralità è la sintesi di tutti i passatismi, noi futuristi sbandieriamo oggi questi vestiti antineutrali, cioè festosamente bellicosi. Soltanto i podagrosi ci disapproveranno. Tutta la gioventù italiana riconoscerà in noi, che li portiamo, le sue viventi bandiere futuriste per la nostra grande guerra, necessaria, URGENTE. Se il Governo non deporrà il suo vestito passatista di paura e d’indecisione, noi raddoppieremo, CENTUPLICHEREMO IL ROSSO del tricolore che vestiamo” (Balla, Il vestito antineutrale).
Come afferma la studiosa Emily Braun: “I futuristi miravano a ‘ricostruire l’universo’, non solo attraverso il design pratico di oggetti e spazi, ma anche sfruttando la massa dei media e lo spettacolo pubblico. Concepirono una moderna ‘antiumanità’, la cui esistenza prosperava sui valori tecnologici di velocità, dinamismo e innovazione incessante. L’avanguardia futurista inventò uno stile politico di provocazione, ritenendo che la tirannia della tradizione potesse essere superata solo attraverso un costante attacco alle istituzioni superate, ai costumi sociali e persino ai ruoli di genere. Il loro programma estetico e ideologico si manifesta, meglio che nella teoria, soprattutto nel design della moda: attraverso le specificità dell’abbigliamento, i futuristi volevano vestire una politica rivoluzionaria che prosperava proprio sul bisogno di espressione individuale in una società anonima e di massa. Inoltre, il fenomeno operava su una serie di livelli congeniali all’impresa futurista: promuoveva il nuovo e scartava il vecchio, confondeva le linee tra arte e industria e si basava sullo stile come dichiarazione sociale ed estetica. In generale, i futuristi chiedevano abiti che favorissero la salute e il comfort e che bandissero i dettagli volgari, i tessuti costosi e, in definitiva, la distinzione di classe nell’abbigliamento. Linee eleganti e forme semplici promuovevano il libero movimento del corpo umano, e il ritmo frenetico della vita moderna era evocata da disegni tessili dinamici e tagli asimmetrici. I futuristi suggerirono un uso non ortodosso di tessuti naturali e industriali – carta, paglia, iuta, gomma, metalli e plastica. I marroni, i neri e i grigi vennero smontati in quanto stoici e tradizionali, mentre i colori primari brillanti e i riflettenti persino fosforescenti, indicavano la strada verso un futuro scintillante ed esuberante” (Braun, 34).
Il colore rappresenta un elemento essenziale nell’arte futurista di Giacomo Balla, perché riesce a tradurre al meglio la sua aspirazione al dinamismo, a dare letteralmente forma alla velocità. Il 18 Ottobre 1918, Balla scrive il Manifesto del colore: “1. Data l’esistenza della fotografia e della cinematografia, la riproduzione pittorica del vero non interessa né può interessare più nessuno. 2. Nel groviglio delle tendenze avanguardiste, siano esse futuriste, o semi-futuriste, domina il colore. Deve dominare il colore poiché privilegio tipico del genere italiano. 3. L’impotenza coloristica del colore e il peso culturale di tutte le pitture nordiche, impantanano eternamente l’arte, nel grigio, nel funerario, nello statico, nel monacale, nel legnoso, nel pessimista, nel neutro, o nell’effeminatamente grazioso e indeciso. 4. La pittura futurista italiana, essendo e dovendo essere sempre più una esplosione di colore non può essere che giocondissima, audace, aerea, elettricamente lavata di bucato, dinamica, violenta, interventista. 5. Tutte le pitture passatiste o pseudo-futuriste danno una sensazione di preveduto, di vecchio, di stanco e di già digerito. 6. La pittura futurista è una pittura a scoppio, una pittura a sorpresa. 7. Pittura dinamica: simultaneità delle forze”. (Balla, Manifesto del colore).
Non stupisce che Balla abbia cercato l’esplosione del colore in ogni campo della sua vita e abbia ad esempio trasformato anche la sua propria abitazione in una specie di alcova cromatica, decorando pareti e mobili in un tripudio di forme dai colori smaglianti. Sempre in quegli anni, poi, nel 1915, Giacomo Balla firma, insieme al collega futurista Fortunato Depero, il manifesto dal titolo Ricostruzione futurista dell’universo, di cui parleremo nella prossima puntata, dove viene teorizzato il dinamismo pittorico e il dinamismo plastico che si collegano bene all’idea che Balla aveva dell’arte totale futurista: un’arte onnipervasiva che costruisce tutte le architetture della velocita assemblando i colori e le forme con i rumori, i suoni e le parole in libertà.
Bibliografia
BALLA, G., Scritti futuristi, raccolti e curati da Giovanni Lista, Abscondita, Milan, 2010.
BROWN, E., Futurist Fashion. Three Manifestos, Art Journal, Vol. 54, No. 1, “Clothing as Subject” (Spring, 1995).
DI FAZIO, M., Bottoni, cappelli e…, Edizioni Artemide, 2014.
LISTA, G., Le Futurisme: création et avant-garde, Éditions L’Amateur, Paris, 2001.
LISTA, G., Balla, la modernità futurista, Edizioni Skira, Milan, 2008.
LISTA, G., Giacomo Balla: futurismo e neofuturismo, Mudima, Milano, 2009.
13. Futurballa. La forma della velocità (Seconda Parte)
Immagine della puntata: Giacomo Bella, “Lampada ad arco“, 1909
L’11 marzo del 1915, a Milano, Giacomo Balla firma, insieme al collega futurista Fortunato Depero, il manifesto dal titolo Ricostruzione futurista dell’universo. In questo testo viene teorizzato il dinamismo pittorico e il dinamismo plastico come principali esigenze estetiche futuriste che mirano a rileggere il cosmo del reale in base a nuove leggi del movimento e della velocità, e a rappresentarlo quindi sulla scena dell’arte intesa come cosmogonia di matrice futurista: “Il futurismo pittorico si è svolto quale superamento e solidificazione dell’impressionismo, dinamismo plastico e plasmazione dell’atmosfera, compenetrazione di piani e stati d’animo. La valutazione lirica dell’universo, mediante le Parole in libertà di Marinetti, e l’Arte dei Rumori di Russolo, si fondono col dinamismo plastico per dare l’espressione dinamica, simultanea, plastica, rumoristica della vibrazione universale. Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione, per formare dei complessi plastici che metteremo in moto. Balla cominciò collo studiare la velocità delle automobili, ne scoprí le leggi e le linee-forze essenziali. Dopo più di 20 quadri sulla medesima ricerca, comprese che il piano unico della tela non permetteva di dare in profondità il volume dinamico della velocità. Balla senti la necessità di costruire con fili di ferro, piani di cartone, stoffe e carte veline, ecc., il primo complesso plastico dinamico. 1. Astratto. – 2. Dinamico. Moto relativo (cinematografo) + moto assoluto. – 3. Trasparentissimo. Per la velocità e per la volatilità del complesso plastico, che deve apparire e scomparire, leggerissimo e impalpabile. – 4. Coloratissimo e Luminosissimo (mediante lampade interne). – 5. Autonomo, cioè somigliante solo a sé stesso. – 6. Trasformabile. – 7. Drammatico. – 8. Volatile. – 9. Odoroso. – 10. Rumoreggiante. Rumorismo plastico simultaneo coll’espressione plastica. – 11. Scoppiante, apparizione e scomparsa simultanee a scoppi. Il parolibero Marinetti, al quale noi mostrammo i nostri primi complessi plastici ci disse con entusiasmo: ‘L’arte, prima di noi, fu ricordo, rievocazione angosciosa di un Oggetto perduto (felicità, amore, paesaggio) perciò nostalgia, statica, dolore, lontananza. Col Futurismo invece, l’arte diventa arte-azione, cioè volontà, ottimismo, aggressione, possesso, penetrazione, gioia, realtà brutale nell’arte (Es.: onomatopee. – Es.: intonarumori = motori), splendore geometrico delle forze, proiezione in avanti. Dunque l’arte diventa Presenza, nuovo Oggetto, nuova realtà creata cogli elementi astratti dell’universo. Le mani dell’artista passatista soffrivano per l’Oggetto perduto; le nostre mani spasimavano per un nuovo Oggetto da creare. Ecco perché il nuovo Oggetto (complesso plastico) appare miracolosamente fra le vostre’.
Per la costruzione materiale del complesso plastico i MEZZI NECESSARI sono: fili metallici, di cotone, lana, seta d’ogni spessore, colorati. Vetri colorati, carte veline, celluloidi, reti metalliche, trasparenti d’ogni genere, coloratissimi, tessuti, specchi, lamine metalliche, stagnole colorate, e tutte le sostanze sgargiantissime. Congegni meccanici, elettrotecnici, musicali e rumoristi; liquidi chimicamente luminosi di colorazione variabile; molle; leve; tubi, ecc. Con questi mezzi noi costruiamo delle ROTAZIONI 1. Complessi plastici che girano su un perno (orizzontale, verticale, obliquo).
- Complessi plastici che girano su più perni: a) in sensi uguali, con velocità varie, b) in sensi contrari; c) in sensi uguali e contrari. Poi SCOMPOSIZIONI 3. Complessi plastici che si scompongono: a) a volumi; b) a strati, c) a trasformazioni successive (in forma di coni, piramidi, sfere, ecc.). 4. Complessi plastici che si scompongono, parlano, rumoreggiano, suonano simultaneamente. E ancora SCOMPOSIZIONE TRASFORMAZIONE FORMA + ESPANSIONE ONOMATOPEE SUONI RUMORI MIRACOLO MAGIA 5. Complessi plastici che appaiono e scompaiono: a) lentamente, b) a scatti ripetuti (a scala); c) a scoppi improvvisi Pirotecnica – Acque – Fuoco -Fumi. La scoperta-invenzione sistematica infinita mediante l’astrattismo complesso costruttivo rumorista, cioè lo stile futurista. Ogni azione che si sviluppa nello spazio, ogni emozione vissuta, sarà per noi intuizione di una scoperta. ESEMPI: Nel veder salire velocemente un aeroplano, mentre una banda suonava in piazza, abbiamo intuito il Concerto plastico moto-rumorista nello spazio e il Lancio di concerti aerei al di sopra della città. – La necessità di variare ambiente spessissimo e lo sport ci fanno intuire il Vestito trasformabile (applicazioni meccaniche, sorprese, trucchi, sparizioni d’individui) – La simultaneità di velocità e rumori ci fa intuire la Fontana giro-plastica rumorista. – L’aver lacerato e gettato nel cortile un libro, ci fa intuire la Réclame fono-moto-plastica e le Gare pirotecnico-plastico-astratte. – Un giardino primaverile sotto il vento ci fa intuire il Fiore magico trasformabile moto-rumorista. – Le nuvole volanti nella tempesta ci fanno intuire l’Edificio di stile rumorista trasformabile.
Sul giocattolo futurista. Nei giochi e nei giocattoli, come in tutte le manifestazioni passatiste, non c’è che grottesca imitazione, timidezza, (trenini, carrozzini, pupazzi immobili, caricature cretine d’oggetti domestici), anti-ginnastici o monotoni, solamente atti a istupidire e ad avvilire il bambino. Per mezzo di complessi plastici noi costruiremo dei giocattoli che abitueranno il bambino: 1) a ridere apertissimamente (per effetto di trucchi esageratamente buffi); 2) all’elasticità massima (senza ricorrere a lanci di proiettili, frustate, punture improvvise, ecc.); 3) allo slancio immaginativo (mediante giocattoli fantastici da vedere con lenti; cassettine da aprirsi di notte, da cui scoppieranno meraviglie pirotecniche; congegni in trasformazione ecc.) 4) a tendere infinitamente e ad agilizzare la sensibilità (nel dominio sconfinato dei rumori, odori, colori, più intensi, più acuti, più eccitanti). 5) al coraggio fisico, alla lotta e alla GUERRA (mediante giocattoli enormi che agiranno all’aperto, pericolosi, aggressivi). Il giocattolo futurista sarà utilissimo anche all’adulto, poiché lo manterrà giovane, agile, festante, disinvolto, pronto a tutto, instancabile, istintivo e intuitivo.
Sul paesaggio artificiale. Sviluppando la prima sintesi della velocità dell’automobile, Balla è giunto al primo complesso plastico. Questo ci ha rivelato un paesaggio astratto a coni, piramidi, poliedri, spirali di monti, fiumi, luci, ombre. Dunque un’analogia profonda esiste fra le linee-forze essenziali della velocità e le linee-forze essenziali d’un paesaggio. Siamo scesi nell’essenza profonda dell’universo, e padroneggiamo gli elementi. Giungeremo così, a costruire l’animale metallico. Fusione di arte + scienza. Chimica fisica pirotecnica continua improvvisa, dell’essere nuovo automaticamente parlante, gridante, danzante. Noi futuristi Balla e Depero, costruiremo milioni di animali metallici, per la più grande guerra (conflagrazione di tutte le forze creatrici dell’Europa, dell’Asia, dell’Africa e dell’America, che seguirà indubbiamente l’attuale meravigliosa piccola conflagrazione umana). Le invenzioni contenute in questo manifesto sono creazioni assolute, integralmente generate dal Futurismo italiano. Nessun artista di Francia, di Russia, d’Inghilterra o di Germania intuì prima di noi qualche cosa di simile o di analogo. Soltanto il genio italiano, cioè il genio più costruttore e più architetto, poteva intuire il complesso plastico astratto. Con questo, il Futurismo ha determinato il suo Stile, che dominerà inevitabilmente su molti secoli di sensibilità.” (Balla e Depero, Ricostruzione futurista dell’Universo).
In queste ultime righe del manifesto, Giacomo Balla riesce a intuire qualcosa di essenziale sul grande contributo che solo il futurismo italiano, primo fra tutte le altre avanguardie europee, riesce a trasmettere ad una intera nuova stagione della sensibilità artistica del primo novecento. Infatti, quello che nel manifesto viene chiamato “complesso plastico astratto” è forse una delle più precise e illuminanti definizioni del modo di concepire la rappresentazione del mondo da parte di tutte le avanguardie artistiche successive a quella futurista: dal cubismo, all’astrattismo e al surrealismo. Giacomo Balla cerca di applicare i precetti dell’estetica futurista in tutti i campi in cui esercita la sua arte. Inizia infatti a lavorare sull’onomatopea, cioè sull’arte di restituire il rumore attraverso la lingua scritta, prova poi a comporre tavole parolibere e a progettare scenografie mettendo in evidenza i collegamenti tra l’immagine e la dimensione fonetico-rumorista. Nel 1917 progetta le scene per il balletto senza danzatori dal titolo Feu d’artifice (Fuoco d’artificio) che va in scena al Teatro Costanzi di Roma, prodotto dai Ballets Russes di Diaghilev, con musiche di Stravinskij. Nello stesso periodo crea arredi, mobili, suppellettili e partecipa alle sequenze del film Vita futurista (1916), presenziando con Marinetti alle riprese. Ma è nell’arte pittorica che Giacomo Balla è in grado di sperimentare le più innovative forme dell’arte futurista, e anche le prime coraggiose ibridazioni fra l’arte futurista e le emergenti avanguardie che sorgono nello stesso periodo. Ne parleremo nel prossimo podcast su Giacomo Balla.
Bibliografia
ARGAN, G. C., L’arte moderna 1770 – 1970, Sansoni, 1970.
BALLA, G., Scritti futuristi, raccolti e curati da Giovanni Lista, Abscondita, Milano, 2010.
LISTA, G., Le Futurisme: création et avant-garde, Éditions L’Amateur, Paris, 2001.
LISTA, G., Balla, la modernità futurista, Edizioni Skira, Milano, 2008.
LISTA, G., Giacomo Balla: futurismo e neofuturismo, Mudima, Milano, 2009.
14. Futurballa. La forma della velocità (Terza Parte)
Immagine della puntata: Giacomo Bella, “Velocità astratta + rumore“, 1913
L’arte pittorica è decisamente il luogo in cui Giacomo Balla è in grado di sperimentare le più innovative forme dell’arte futurista, e anche le prime coraggiose ibridazioni fra l’arte futurista e le emergenti avanguardie che sorgono nello stesso periodo. L’artista futurista Gino Severini scriveva infatti di lui: “Fu Giacomo Balla, divenuto nostro maestro, che ci iniziò alla tecnica moderna del divisionismo. Balla era un uomo di assoluta serietà, profondo, riflessivo e pittore nel più ampio senso della parola. … Fu una grande fortuna per noi di incontrare un tale uomo, la cui decisione decise forse di tutta la nostra carriera. L’atmosfera della pittura italiana era a quel momento la più fangosa e deleteria che si potesse immaginare; in un simile ambiente anche Raffaello sarebbe arrivato appena al quadro di genere!”. Infatti prima di iniziare l’esperienza futurista, Giacomo Balla era stato molto influenzato dal neo-impressionismo francese e dai lavori di Georges Seurat, il padre del “divisionismo” (anche detto “puntinismo’) e di Paul Signac, di cui aveva appreso le tecniche durante un soggiorno che fece a Parigi nel 1900. Al suo ritorno a Roma, Balla aveva mostrato subito la padronanza dello stile neoimpressionista nei suoi quadri e aveva trasmesso a due artisti più giovani, Umberto Boccioni e Gino Severini, la tecnica divisionista in pittura. Le prime opere di Balla riflettono le tendenze contemporanee francesi, ma accennano anche al suo interesse di tutta la vita per la resa della luce e dei suoi effetti. Il suo dipinto dal titolo Lampada ad arco del 1909 è forse l’opera più emblematica a testimonianza degli studi condotti da Balla sulla luce, in chiave “puntinista”. Se la velocità era la forza prevalente nel futurismo, Giacomo Balla capisce anche che la luce rappresenta l’elemento più veloce dell’universo, e la rifrazione della luce in un lampione è un primo dipinto che dimostra come un tale prisma scheggiato possa diventare un potente esempio di un soggetto bidimensionale che esplode sullo spettatore. Scrive Enrico Prampolini: “La ‘solidificazione dell’Impressionismo’ costituisce la base di sviluppo della pittura di Balla futurista: cioè il passaggio dalla suddivisione del pigmento colorato del divisionismo alla costruzione geometrica astratta – a sé stante – delle compenetrazioni iridescenti”.
Nel dipinto I ritmi dell’archetto, del 1912, Giacomo Balla riusciva quasi a restituire i riverberi sonori dello strumento del violino, come in un esperimento di fotodinamismo futurista. È un dipinto splendidamente reso e ricorda Il nudo che scende le scale, quadro che Marcel Duchamp dipingeva nello stesso anno. Tra la fine del 1912 e l’inizio del 1913 infatti Giacomo Balla passa dalla rappresentazione della frammentazione della luce all’esplorazione del movimento e, più specificamente, della velocità delle automobili da corsa. Questo portò a un’importante serie di studi nel 1913-14 conosciuto come Velocità astratta + rumore, un turbine di linee dinamiche che si intersecano e colore, che è anche la copertina del mio podcast di oggi. La scelta dell’automobile come simbolo della velocità astratta ricorda la famigerata dichiarazione di Filippo Tommaso Marinetti nel suo primo manifesto futurista, pubblicato il 20 febbraio 1909 su Le Figaro a Parigi, solo un decennio dopo la produzione della prima automobile italiana: “Lo splendore del mondo si è arricchito di una nuova bellezza: la bellezza della velocità. … Un’automobile ruggente…. che sembra correre su schegge, è più bella della Vittoria di Samotracia”. In questo trittico narrativo si suggerisce l’alterazione del paesaggio dopo il passaggio di un’automobile attraverso l’atmosfera. Si distingue per i motivi incrociati, che rappresentano il suono, e una moltiplicazione del numero di linee e piani. Le cornici originali di tutti e tre i pannelli sono state dipinte con la continuazione delle forme e dei colori delle composizioni, implicando la tracimazione della realtà dei dipinti nello spazio dello spettatore. Giulio Carlo Argan scriverá di lui: “Balla che sul tema del dinamismo meditava già da alcuni anni (il famoso Cane al guinzaglio è del 1912), va al di là di Boccioni: prescinde quasi totalmente dall’immagine visiva per dare l’immagine psicologica del moto. La sua ricerca è prevalentemente linguistica: mira a stabilire un codice di segni significanti velocità, dinamismo ecc. Sono concetti che interessano intensamente l’uomo moderno: concetti che vogliono essere espressi visivamente perché la percezione è più rapida della parola, e che non possono essere espressi tramite segni che implichino riferimenti alla natura, perché debbono esprimere qualcosa di non naturale, di realizzato mediante congegni meccanici”.
Nel 1914, il poliedrico Giacomo Balla inizia a sperimentare anche la scultura e nel 1915 crea Il Pugno di Boccioni la sua opera plastica più famosa. Nel campo della scultura, sperimenta vari materiali, tra cui fogli di alluminio, specchi, vetro colorato, cartone e vari tipi di tessuto. La sua arte é d’avanguardia perché tridimensionale. Questo ulteriore aspetto innovativo rende Giacomo Balla uno dei co-fondatori della scultura astratta. Nel 1929, insieme a Filippo Marinetti e al pittore Gerardo Dottori e allo scultore Bruno Munari, Giacomo Balla fonda il movimento dell’Aeropittura, propaggine del Futurismo in cui gli artisti cercavano di rappresentare la sensazione del volo, di cui abbiamo parlato in uno dei podcast di questa serie sul futurimo.
Ma l’arte di Giacomo Balla non si ferma al contesto futurista. L’ecletticitá di questo pittore si misura dalla sua capacitá di passare dal neo-impressionismo al futurismo e poi, nel secondo dopoguerra, ad una forma di post-futurismo. In una intervista radiofonica del 1952, Giacomo Balla affermava: “Il Futurismo Italiano sorse come movimento irresistibile e inevitabile, espressione di quel bisogno di rinnovamento che ormai urgeva, in ogni campo, per adeguare ogni forma di vita all’immenso cambiamento operato in questo nostro secolo dal divulgarsi delle straordinarie scoperte scientifiche”. “Il Futurismo più che nel campo dell’arte pura – affermava Giacomo Balla – ha influito in ogni manifestazione di vita dei nostri tempi, il suo influsso si palesa infatti dall’architettura all’arredamento, dalle vetrine all’abbigliamento, ovunque il futurismo ha dato la sua impronta, fu questo bisogno di rinnovamento che ci portò quarant’anni fa a sfondare le dighe del passatismo e mi rincresce ora vedere passare dalle brecce aperte all’arte nuova, tante deviazioni e deformazioni che fanno orrore. Pure nell’attuale confusione, forse anch’essa necessaria, è certo qualche fermento che in un tempo avvenire si manifesterà in quelle forme di Arte pura e illuminata da nuovi ideali, di cui fiduciosi attendiamo l’evento…”. Quindi Giacomo Balla non giudicava chiusa l’esperienza futurista, anzi la nuova arte doveva nascere proprio da questa esperienza. Con questo principio Balla, considerando forse il futurismo nato troppo presto per un paese come l’Italia, ritorna a una forma di pittura figurativa però mettendo a frutto tutta la lezione dell’avanguardia futurista; da questa, gli ultimi quadri, paesaggi e ritratti. Le due figlie di Balla, a cui il padre dona due nomi decisamente futuristi, Luce ed Elica, affermeranno dopo la morte del padre: “Tutta l’ esperienza futurista del contrasto dei colori del movimento, della velocità, era condensata negli ultimi dipinti dove si aggiungeva anche la perizia del ritrattista, del pittore divisionista di fine Ottocento”. Giacomo Balla é perciò, senza alcun dubbio, uno dei maestri dell’avanguardia del Novecento.
Bibliografia
ARGAN, G. C., L’arte moderna 1770 – 1970, Sansoni, 1970.
BALLA, G., Scritti futuristi, raccolti e curati da Giovanni Lista, Abscondita, Milano, 2010.
LISTA, G., Le Futurisme: création et avant-garde, Éditions L’Amateur, Paris, 2001.
LISTA, G., Balla, la modernità futurista, Edizioni Skira, Milano, 2008.
LISTA, G., Giacomo Balla: futurismo e neofuturismo, Mudima, Milano, 2009.
SEVERINI, G., Tutta la vita di un pittore, Garzanti, 1946.